lunedì 15 ottobre 2012

Vinti o venduti?

Da anni ormai, le associazioni, i meridionalisti, i tifosi, i giornalisi e via dicendo, parlano e scrivono solo delle note positive del sud, dei primati, degli eroismi, dei morti dimenticati, dei soldati degni che mai tradirono il loro re, ecc...ma non si parla mai delle note negative, dei personaggi, salvo il famigerato Liborio Romano. Ministro degli interni del governo di Napoli che fece accordi con la camorra per accogliere degnamente Garibaldi in città.
Sarebbe ora che anche nomi  di chi tradì fossero noti ai più.
Nel bel librone di Roberto M. Selvaggi, vi sono nomi e fotografie, non di tutti ovviamente, sono tanti.
Indipendentemente dalla parte in cui ci si batte, chi tradisce il giuramento fatto, prima della capitolazione, che per un militare è sacro, lo si può definire in un solo modo: traditore, amico o nemico che sia.
Sembra che molti dei nomi e dei volti che pubblicherò, ( sempre secondo Roberto M. Selvaggi, buon'anima ) siano passati all'esercito italiano, dopo la resa di Gaeta, ultima piazzaforte di difesa. Ragion per cui non penso sia giusto assimilarli ai traditori. Un professionista, sia esso militare o sommelier o conducente, deve pur continuare a lavorare. Casomai sono quelli che hanno tramato contro il giovane re, Francesco II, prima che fosse attaccato, meriterebbero l'infamia e l'ignomìnia ...e pure la gogna...và!

 MAGGIORE LUDOVICO DE SAUGET Napoli 12.11.1824 - Napoli 4.3.1882


Secondogenito del generale Roberto De Sauget frequentò il real collegio militare dal 1835 al 1840. Nominato alfiere di artiglieria fece una discreta car­riera e nell'agosto del 1860 fu promosso maggiore. Protetto dal generale Pianell fu addetto allo stato maggiore dell'esercito. A Palermo nei combatti­menti del maggio aveva ricevuto la croce di diritto di S. Giorgio per il modo col quale aveva coman­dato la sua batteria, nella quale militava il tenente Purmann caduto sul campo. Nell'agosto del 1860 fu inviato in missione in Calabria dal ministro della guerra e al ritorno a Napoli disertò per passare ai garibaldini. Entrato nell'esercito italiano giunse al grado di maggior generale. Nella fotografia in uniforme dello stato maggiore italiano porta an­cora sul petto la decorazione borbonica.    
                                   GIOVANNI POLIZZY Napoli 11.11.1787 - Napoli 6.3.1869

Figlio del generale Vincenzo era stato ammesso a corte come paggio dal re Ferdinando IV. Entrati i francesi a Napoli era stato promosso alfiere di artiglieria ed aveva partecipato alle campagne di Calabria, di Spagna e d'Italia. Dopo una lunga carriera nell'arma di artiglieria era stato promosso generale di brigata nel 1855 e da allora si era occupato della ispezione del personale dei corpi facoltativi. Il 18 giugno 1860 veniva promosso maresciallo di campo e nominato comandante della piazza di Napoli dove permise disordini e aggres­sioni ai posti di polizia. Per la sua negligenza ven­ne sostituito il 2 luglio e rinviato all'ispezione diartiglieria. Entrato Garibaldi a Napoli si mise a sua disposizione e per la sua profonda conoscen¬za del personale fu ammesso nell'esercito italiano come effettivo nonostante i suoi settantatré anni. Fu utilizzato dai piemontesi per lo scrutinio nel¬l'ammissione all'esercito italiano degli ufficiali di artiglieria comportandosi in maniera spietata nei confronti dei suoi ex commilitoni. Terminato l'in¬carico fu subito messo a riposo. Nella fotografia Giovanni Polizzy è m divisa da maggior generale dell'esercito italian




FILIPPO FLORES


Palermo 17.6.1809 - Napoli 11.9.1867 Proveniente anch'egli, come Marra dai reggimen­ti siciliani, nei quali il padre, il colonnello Francesco, gli aveva acquistato il grado di capitano nel 1827, fece parte di quella lunga serie di generali opportunisti che in tempi di dominio borbonico furono più reazionari dello stesso re e che al momento del trapasso cambiarono colore repenti­namente. Nel 1844 Flores si trovò a capo del consiglio di guerra che decretò la morte dei fratel­li Bandiera. Nel settembre del 1860, dopo una carriera scialba ed incolore, praticamente non ave­va mai combattuto, era comandante territoriale delle Puglie. Il giorno 3 ricevette da Napoli l'ordine di ritirarsi a Capua con tutte le truppe presenti nella regione, un reggimento di fanteria, un battaglione di gendarmi, quattro squadroni di cavalleria e una batteria di artiglieria, formanti una brigata al comando del generale Francesco Bonanno. Ritar­dando ad arte le tappe del viaggio e, contro il parere di tutti, prendendo la via di Avelline ormai controllata dai garibaldini, costrinse il suo sotto­posto generale Bonanno ad intavolare trattative col garibaldino Turr per una capitolazione delle trup­pe che sentendosi abbandonate preferirono scio­gliersi. Alcuni giorni dopo a Napoli Flores si recò ad omaggiare Garibaldi e si ritirò poi in famiglia. Chiese di entrare nell'esercito italiano, ma il 17 marzo 1861, a soli cinquantaquattro anni fu mes­so a riposo.  



RAFFAELE PINEDO Napoli 10.2.1802 - Napoli 22.10.1865


Di famiglia spagnola venuta nel regno al seguito di Carlo III con suo nonno Giovanni Pinedo, ufficiale del reggimento di cavalleria Tarragona, era figlio del tenente generale Antonio (1757-1830) e di Lucrezia Costa. Suo padre fu uno dei miglio­ri ufficiali di cavalleria nel periodo a cavallo fra i due secoli. Nel 1820 entrò nell'esercito come sottotenente di cavalleria. Nel 1826 era capitano e nel 1840 maggiore. Sempre destinato alla guardia reale non combattè in nessuna campagna. Nel 1859 comandava la piazza di Capua da maresciallo di campo. Il 7 settembre 1860 con l'arrivo dell'eser­cito nella piazza per l'ultima resistenza si dette ammalato. Il comandante in capo designato mare­sciallo Ritucci, meno anziano di lui, si recò a salutarlo e lo la letto con la febbre e vomito. In realtà Pinedo era già in contatto con il nemico e saputasi la cosa in Gaeta, ne tu ordinato in immediato arresto. Ritucci onestamente sorpreso lo man­dò a cercare, ma il generale, travestito da contadi­no, aveva già raggiunto Santa Maria occupata dai garibaldini. I fatti si commentano da soli. Si ritirò in famiglia a Napoli dove morirà cinque anni dopo. Suo figlio Giovanni ufficiale del genio rimarrà nella piazza per tutta la campagna. Suo diretto discen­dente fu l'asso dell'aviazione Francesco De Pinedo (1890-1933) nominato marchese da Vittorio Emanuele III. Nel quadro che riproduciamo, di proprietà della famiglia, Raffaele Pinedo è ritratto in gran tenuta da maresciallo di campo.  Furono davvero molti. In altra pagina cercherò di fornire i nomi e i volti di chi tradì prima dell'attacco contro il regno di Napoli, (magari per soldi, non per motivi politici), senza alcuna dichiarazione di guerra, cosa non prevista dal codice di diritto internazionale, esistente anche in quel momento.